La Regione Emilia-Romagna non dovrebbe “accogliere nuove richieste richiesta di autorizzazione all’acquacoltura per l’area sud-est della Sacca di Goro” per “non aggravare il difficile equilibrio ambientale”, dal momento che “l’aumento a dismisura del numero degli addetti all’acquacoltura potrebbe compromettere l’esistenza dell’intero sistema per sovra sfruttamento delle potenzialità ambientali”.
A lanciare l’allarme sono Marcella Zappaterra e Paolo Calvano (Pd), in una interrogazione alla Giunta in cui chiedono all’esecutivo regionale “quali iniziative intenda intraprendere per salvaguardare l’attività di acquacoltura nella zona ed in particolar modo nell’area sud-est fortemente colpita da problematiche ambientali”.
I consiglieri sottolineano come “sembra che numerose siano le richieste di nuove autorizzazioni all’acquacoltura richieste per la zona sud-est della sacca”, nonostante “numerosi studi universitari circa la sostenibilità ambientale nella coltivazione delle vongole veraci, i quali hanno dimostrato come non tutta l’area della Sacca sia idonea allo svolgimento di tali attività”.
Tra i problemi principali, i consiglieri evidenziano da una parte “numerosi episodi di presenza di acido okadaico (biotossina tossica) nei molluschi allevati nella zona sud-est della laguna”, con la conseguente “sospensione dell’attività di allevamento oltre che la temporanea impossibilità di vendere vongole provenienti dalle concessioni interessate”, dall’altra “le anossie estive, cioè l’assenza di ossigeno nella colonna d’acqua a causa della massiccia presenza di alghe”. Non a caso, concludono Zappaterra e Calvano, “già dal 2010 il servizio economia ittica regionale ha cercato di limitare i danni inflitti dalle problematiche ambientali, mettendo a disposizione delle cooperative colpite nuove aree più prospicienti il mare aperto, al fine di potere delocalizzare i molluschi e scongiurare le morie estive”.