<< Il Consiglio d’Europa ha lo scopo d’attuare un’unione più stretta fra i Membri per tutelare e promuovere gli ideali e i principi che sono loro comune patrimonio e per favorire il loro progresso economico e sociale >>. Così recita l’articolo 1 del Trattato di Londra stipulato nel 1949 sulle ceneri di un continente europeo devastato dalla Seconda guerra Mondiale e grazie all’azione di 10 nazioni (Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Gran Bretagna e Svezia) che per prime diedero vita al “sogno europeo”. Un patto, un impegno dopo anni di sanguinosissime guerre per creare veramente la casa comune dei valori europei. Particolarmente significative la parole con cui Ernest Bevin, Segretario di Stato per gli affari esteri britannico, salutò la firma di quel documento: << Siamo testimoni, per la prima volta nel nostro vecchio continente, della nascita di un’istituzione democratica comune. >>
Spesso sia il mondo della politica che quello dei media fanno confusione sul ruolo del Consiglio d’Europa. Alcuni credono che questo organismo sia una diretta emanazione di quella Comunità Economica Europea nata con il Trattato di Roma nel 1957 e divenuta Unione con il Trattato di Maastricht il 7 Febbraio 1992. Certo, i nomi degli organismi possono muovere ad una certa confusione e orientarsi tra Consiglio d’Europa, Consiglio europeo, Commissione e Consiglio dell’Unione Europea (un tempo noto come Consiglio dei Ministri) non è cosa particolarmente agevole. In questo caos linguistico una cosa però deve essere ben chiara: il Consiglio d’Europa non è un organismo emanazione dell’Unione Europea ma rappresenta tutte le genti e le comunità che costituiscono l’Europa geografica e sociale.
Il Trattato di Londra fu quindi un primo e fondamentale passo concreto verso la realizzazione di quella comune casa europea che deve ancora trovare piena applicazione ai giorni nostri. Oggi al Consiglio d’Europa aderiscono 47 paesi (di cui 28 fanno anche parte dell’Unione europea). A tale organismo sono poi a vario titolo legati (come osservatori o invitati) Città del Vaticano, Giappone, Stati Uniti, Israele, Canada e Messico che si uniscono all’ingente numero di Organizzazioni non Governative e organizzazioni internazionali tra le quali la stessa ONU.
Tra i risultati e le attività del Consiglio d’Europa meritevoli di menzione possiamo ricordare la Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (1950), La Carta sociale europea (1961), l’abolizione della pena di morte (1983) e le innumerevoli missioni di osservatori per assicurare la regolarità democratica dei processi elettorali nei paesi membri.
Allora come oggi gli scopi principali di questa organizzazione sono:
- La tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, della democrazia parlamentare e della garanzia del primato del diritto;
- Lo sviluppo dell’identità europea, basata su valori condivisi, che trascendono le diversità culturali;
- La conclusione di accordi europei per armonizzare le pratiche sociali e giuridiche degli Stati membri, assistere i paesi dell’Europa centrale e orientale ad attuare e a consolidare le riforme politiche, legislative e costituzionali, parallelamente alle riforme economiche;
- Fornire specifiche competenze e pareri in settori quali i diritti dell’uomo, la democrazia locale, l’educazione, la cultura e l’ambiente;
Da queste finalità “primarie” ne sono derivate altre tra le quali il rafforzamento della sicurezza dei cittadini europei, soprattutto in relazione al contrasto del terrorismo, del crimine organizzato e del traffico di esseri umani attraverso lo sviluppo della cooperazione con altre organizzazioni internazionali ed europee. Non stiamo parlando di azioni di polizia o di sicurezza continentale, bensì di un dialogo continuo per superare le barriere delle supposte differenze culturali e/o religiose.
Ma come funziona concretamente il Consiglio d’Europa, quali sono i suoi organi e come è accaduto che un consigliere della Regione Emilia Romagna sieda in tale consesso in rappresentanza dell’Italia? Andando con ordine possiamo dire che il Consiglio è strutturato in diversi organi di cui i più noti sono sicuramente la Corte europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ed il Congresso dei poteri locali e regionali. Se per la Corte parliamo di un organo giurisdizionale internazionale competente nella protezione dei diritti fondamentali, il Congresso è l’organo consultivo del Consiglio d’Europa e rappresenta le duecentomila tra regioni e comuni d’Europa. Uno spazio privilegiato di dialogo che trascende l’appartenenza partitica nel quale i rappresentanti dei poteri locali e regionali hanno la possibilità di dibattere in maniera costruttiva i problemi comuni e le rispettive esperienze per poi farsi portavoce presso i vari governi nazionali. Un approccio inusuale, quindi, che mette al centro del proprio lavoro la forma di governo locale quale ente a più stretto contatto con quella società che si prefigge di rappresentare. Questa è la peculiarità del Consiglio d’Europa: rafforzare i processi democratici e migliorare le prestazioni di servizio con particolare riguardo alla partecipazione, sicurezza, dialogo interculturale e interreligioso, ai fenomeni migratori e allo sviluppo sostenibile partendo dal basso (dai Comuni e dalle Regioni quindi), immergendosi nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Il Congresso comunica con l’esterno attraverso raccomandazioni e risoluzioni presentandole al Comitato dei Ministri (composto dai Ministri degli Esteri dei paesi aderenti) o all’Assemblea parlamentare, oppure rivolgendosi direttamente agli enti locali e regionali. La delegazione italiana al Congresso dei poteri locali e regionali è composta da 36 membri titolari e 36 supplenti equamente divisi tra rappresentanti di Comuni e Regioni.
Da quando sono stato nominato a rappresentare l’Italia nel Consiglio d’Europa svolgo la mia attività prevalentemente nel Comitato degli affari di attualità (gli altri miei colleghi in tale comitato esecutivo sono il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia e Chiara Avanzo, Presidente del Consiglio del Trentino Alto Adige). Dal 26 Gennaio del 2015 (data in cui sono stato nominato dal Presidente Bonaccini) ad oggi il Congresso si è occupato di monitorare le elezioni in Ucraina dopo il sanguinoso conflitto con la Russia ma al tempo stesso ha avviato importanti studi e riflessioni sui supporti informatici ai processi democratici, oppure ha promosso importanti meeting su accoglienza e diritti umani in zone delicate dell’Europa quali l’Austria, la Serbia, la Polonia e l’Ungheria. Da segnalare anche i numerosi studi, rapporti e raccomandazioni sull’inclusione delle popolazioni Rom e contro il diffondersi di episodi di razzismo e xenofobia. Temi strategici per il futuro del nostro continente che quasi sempre sono stati anticipati dal Consiglio d’Europa e che dopo alcuni mesi si sono tradotti nell’agenda politico-amministrativa dei vari territori continentali. L’esempio più chiaro in questo senso è senz’altro quello della Legge regionale dell’Emilia-Romagna per l’inclusione di Rom e Sinti, della quale sono stato relatore, che recepisce le raccomandazioni in proposito formulate dal Consiglio d’Europa.
In generale l’esperienza che sto maturando mi porta a dire che, visto da qui, lo scenario politico italiano ed europeo è abbastanza diversificato: l’atmosfera che si respira a Strasburgo è molto meno concitata rispetto a quanto siamo abituati. Qui vige un reale spirito di collaborazione che faccio fatica a scorgere in altri consessi. Forse ciò è dovuto al fatto che tutti i rappresentanti sono coscienti di appartenere a quella parte di “ceto politico” che è realmente a contatto con le comunità nelle quali tutti noi viviamo e lavoriamo. Rispetto al resto dell’Europa abbiamo molto da lavorare in tema di rapporti internazionali. Per troppo tempo l’Italia è stata vista come una nazione che partecipava ai lavori del Consiglio d’Europa al di sotto del suo peso politico e sociale, forse a causa di una sottostima per tale organismo da parte dei nostri passati governi nazionali. Un vero peccato, perché tanti dei temi che il Consiglio ha trattato nel corso degli ultimi venti anni si sono inderogabilmente riverberati sulla nostra politica nazionale. In tempi più recenti, però, la delegazione italiana ha dato chiari segnali di voler invertire la tendenza, conscia che le sfide del nostro futuro passino anche da qui.
Mi sto principalmente riferendo ai temi dei migranti, alle politiche dell’accoglienza e a tutte le iniziative di contrasto ai rigurgiti razzisti e xenofobi che devono accompagnarsi a questa sfida. Nessuno più del Consiglio d’Europa è competente sul tema. Mentre al Parlamento europeo negli anni passati alcune nazioni hanno imposto il proprio punto di vista facendo finta che il tema non esistesse, mentre la Commissione europea si segnalava per il suo immobilismo permettendo a molti paesi continentali di partorire politiche di chiusura in nome di una non chiara e generica lotta al terrorismo, i paesi del Sud Europa si trovavano a fronteggiare, in solitudine, una vera e propria “invasione”. Il Consiglio d’Europa ha da tempo indicato la via per gestire questo problema che si risolve nel dialogo e nella cooperazione reale tra le due parti del Mediterraneo. Un rapporto che al confinamento ai margini del continente della massa di profughi, privilegia il dialogo interculturale per poi procedere a politiche organiche e condivise che hanno uno scopo preciso: creare le condizioni di convivenza civile perché il migrante, da minaccia, sia percepito come una vera risorsa.
Per comprendere fino in fondo i termini del dibattito che stiamo affrontando in sede di Consiglio d’Europa, vi rimando al link di una risoluzione che io e la collega Barbara Toce (Sindaco di Pedaso in Provincia di Fermo) abbiamo presentato lo scorso aprile in vista della compilazione del Rapporto: “Dall’accoglienza alla integrazione: il ruolo delle comunità locali a fronte delle migrazioni” sui fenomeni migratori e sul ruolo cruciale che le comunità locali possono svolgere in merito.
Consiglio d’Europa e Unione Europea: due realtà distinte, ma che lavorano entrambe per un continente unito, realmente multiculturale, socialmente integrato e dove i principi democratici e di difesa dei diritti umani siano il cardine della casa comune europea.